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Archivi categoria: pratica clinica

Diagnostic reasoning in cardiovascular medicine | The BMJla diagnosi medica

Sorgente: Diagnostic reasoning in cardiovascular medicine | The BMJ

 

Sorgente: Does clinical methodology yet exist? – GIN

 

I Forum di QS. Quale Ospedale per l’Italia? Anita Zeneli: “Un particolare che sfugge costantemente ai policymakers” – Quotidiano Sanità

Sorgente: I Forum di QS. Quale Ospedale per l’Italia? Anita Zeneli: “Un particolare che sfugge costantemente ai policymakers” – Quotidiano Sanità

 

Lavati e curati in barella

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My job as a doctor in today’s NHS is draining me of humanity | Society | The Guardian

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UNA RIFLESSIONE ATTUALISSIMA. «Chiedo scusa a te, che prima di morire hai visto un medico stressato e stanco. Mi dispiace che te ne sia andato prima che io abbia avuto l’opportunità di ascoltare la tua storia. Mentre cercavo di farti un prelievo, provavi a raccontarmi di quel tuo giorno speciale di 30 anni fa. Ti ho dovuto interrompere a metà, perché c’erano altri cinque pazienti che mi stavano aspettando per il prelievo,e altre 31 persone avevano bisogno di me per compiti urgenti e critici che servivano a tenerli in vita, e aiutarli a guarire. Ti ho promesso che sarei tornato più tardi ad ascoltarla, quella storia che ti rendeva così orgoglioso, ma poi non ho avuto il tempo. E nemmeno tu. L’ultimo tuo contatto umano, poco prima che le tue condizioni peggiorassero velocemente e morissi, è stato con un medico stressato e distaccato, che ha interrotto il tuo ricordo felice. Ti chiedo scusa, ma la colpa non è mia».
Sono le prime righe di una lettera anonima scritta due anni or sono da un medico inglese al Guardian che venne condivisa da migliaia di persone.
È il racconto di un medico «stressato e carico di lavoro», consapevole di star perdendo il suo senso di umanità nei confronti dei suoi pazienti, costretto a turni massacranti, a continui straordinari, a freddezza e distacco per correre da una parte all’altra della corsia.
Che non ha il tempo «per ridere o rispondere alle battute sul cibo o sulla vista dalla finestra», e che al massimo può concedere «un sorriso tirato», ma poi deve scappare via.
Fa riflettere, perchè di queste cose da noi non se ne parla affatto, eppure sono quanto mai attuali.
 
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Pubblicato da su 22 febbraio 2021 in Governo Clinico - EBM, pratica clinica

 

Markers Tumorali: Quali sono? A Cosa Servono? | Torrinomedica

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Mal di schiena, dolore cervicale e risonanza magnetica. Quando è necessaria?

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The Inequity of Isolation | NEJM

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CORONAVIRUS: MEDICI E INFERMIERI SONO PASSATI DA EROI AD AGUZZÌNI. ECCO LE LORO STORIE
di Renata Gili
Un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine, scritto da una specializzando in prima linea, per capire com’è cambiata, in pochi mesi, la percezione che una parte dell’opinione pubblica ha del personale ospedaliero.
Amati, eroi, applausi dal balcone, regali nei reparti. Odiati, vigliacchi, insulti e minacce, attacchi, auto distrutte all’uscita dall’ospedale. La contraddizione.
Potrei andare avanti nell’elenco: viviamo in un momento in cui l’opinione si polarizza sempre più e purtroppo c’è chi, negando a tutti i costi la realtà, considera i medici e gli infermieri terroristi, gufi, bugiardi. Responsabili di farci percepire una tragedia che invece non sarebbe.
Perché dicono le cose come stanno o perché cercano di far capire ai propri pazienti e ai loro familiari la gravità di questa situazione. Perché non somministrano terapie che, grazie alle evidenze scientifiche, si è capito che porterebbero a più danni che benefici o perché dicono, a malincuore, che la persona che devono ricoverare non potrà stare vicino ai propri cari durante la degenza in ospedale. Perché chiedono, nonostante ci sia un lieve miglioramento del quadro epidemiologico, di continuare a fare attenzione, a portare la mascherina e a rispettare il distanziamento sociale per non finire tra tre settimane nella stessa, identica situazione per la quale c’è qualche piccolo spiraglio di uscita.
STORIE DA OSPEDALE
Ho letto un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine scritto da uno specializzando in medicina generale di cui riporto qui un tratto: «Il panorama ospedaliero è cambiato e sto imparando a regolare le lenti dei miei occhiali per poter notare gli effetti di quel cambiamento. Alla neo mamma nella stanza 6 dopo il parto: vedo la tua indignazione quando ti dico che il tuo partner adesso deve lasciare l’ospedale. Con un po’ di trepidazione ti spiego che mentre il tuo bambino resterà ricoverato per fare la fototerapia, tu puoi essere dimessa. E una volta dimessa diventerai un visitatore, il che rende il tuo partner il visitatore numero 2. Ma in questo momento è ammesso un solo visitatore per paziente, a causa della pandemia. Vedo che ti rendi conto che questa regola significa perdere il sostegno della persona che è stata al tuo fianco tenendoti la mano durante le venti ore di travaglio ed essere quindi lasciata, esausta, sola con il tuo neonato. Vedo che sei indignata e ti ringrazio per aver espresso la tua indignazione e per avermi mostrato che ho bisogno di lottare per te, per una soluzione diversa. Il trasferimento al reparto di pediatria permetterà di accettare due visitatori alla volta. Tu mi insegni che questo è anche il mio lavoro adesso: lottare per te oggi e ripensare la nostra politica domani.
Al giovane in corridoio, di fronte alla necessità di dover scegliere su come il padre vivrà i suoi ultimi giorni dopo una lunga battaglia contro il cancro metastatico: vedo che non hai scelta. Vedo il tuo desiderio di riportarlo a casa con te. Percepisco quanto ti senti intrappolato perché non puoi chiedere una pausa dal lavoro per prenderti cura di lui e non hai le risorse per assumere qualcuno che ti aiuti. Capisci che l’hospice è la tua unica scelta, ma nello stesso tempo capisci che gli hospice nella nostra regione, in questo momento, hanno politiche a zero visitatori. Mi chiedi: “Quindi sono costretto a lasciarlo morire da solo?”. Vedo il tuo dolore e vedo l’ingiustizia di questa realtà. E così facciamo un piano: lo terremo in ospedale fino a quando non avrà la possibilità di salutare i suoi cari. Potrebbe volerci un po’ di tempo perché anche per i malati terminali sono permessi solo due visitatori al giorno, ma saremo il suo hospice per tutto il tempo di cui avrà bisogno. Grazie per averci spinto a rifiutare la pressione costante della dimissione, in modo da permettere che la sua vita finisca con la dignità che merita, e grazie per avermi aiutato a capire che anche questo è il mio lavoro adesso: trovare soluzioni all’interno dei sistemi che posso controllare, quando ci sono così tante altre cose che non posso tenere sotto controllo».
UN ALTRO SFORZO DOPO LA PRIMAVERA
Questa è la realtà che troppe volte qualcuno si sforza di non vedere. Siamo stanchi, stufi, provati, preoccupati, impauriti. Medici, infermieri, cittadini, persone, esseri umani: tutti. Lo sforzo di marzo, aprile e maggio è stato grande e altrettanto grande è lo sforzo che ci viene richiesto ancora, in un momento in cui non ce la facciamo più.
Io sono un medico e adesso non mi occupo di clinica, ma di sanità pubblica. Non sono in prima linea nei reparti e sul territorio, ma ho amici e colleghi che ogni giorno mi regalano aneddoti ed emozioni molto simili a quelle descritte dal medico specializzando sul New England Journal of Medicine. Sono racconti che toccano il profondo del cuore e mi fanno capire che quelli che pensano «tanto sono solo i vecchi a morire» sbagliano di grosso. Non solo perché non è la realtà, ma perché non hanno capito che la tragedia che stiamo vivendo va ben oltre.
Tocca tutti: malati di COVID-19, malati di altro, donne che in ospedale ci vanno per partorire e non lo possono fare vicino al proprio compagno o compagna. Questa è la situazione, che la si voglia negare o meno.
Ho perso un fratello cinque anni fa, e ciò per cui con grandissima certezza mi sento di ringraziare più di ogni altra cosa è di avergli potuto stringere la mano fino al suo ultimo respiro. La sofferenza degli altri non ci può scivolare addosso come se nulla fosse.
Nel mondo che vorrei la sofferenza degli altri sarebbe la scintilla che accende un motore più forte: quello della solidarietà, dell’empatia. Non la macchina che rende distaccati, che fa smarrire la percezione del dolore dato dalla perdita di centinaia di persone ogni giorno, che congela la mente e il cuore di fronte a una realtà già di per sé agghiacciante, che supereremo solo con il tempo e con la progressiva rimozione collettiva del trauma.
NORMALITÀ DA RITROVARE
Ognuno dei morti che ci lasciano ogni giorno, delle persone che piangono a casa sapendo il proprio caro solo in ospedale, di coloro che rischiano di perdere il lavoro o che inevitabilmente dovranno fare più fatica, delle persone che sono state vittima di violenze esasperate dal lockdown, dei bambini che hanno dovuto rinunciare agli abbracci, dei genitori che hanno visto i propri figli soffrire, del dolore degli anziani chiusi nelle case di riposo senza vedere i propri figli e nipoti… ognuna di queste storie voglio che sia anche un po’ mia.
Voglio accorgermi di quello che ho intorno, voglio sentire quello che sta succedendo alle altre persone e voglio sapere che potrebbe succedere a me. Voglio superare questo momento così, e solo così poco per volta spingermi oltre e accompagnarmi verso quello che ci riprenderemo (speriamo) presto: gli abbracci, la vicinanza, la socialità, la fisicità.
La nostra normalità o, più semplicemente, la nostra vita.
 

I am a critical care physician. These are the patients in the ICU.

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How to Perform a Nasopharyngeal Swab – An Otolaryngology Perspective – The American Journal of Medicine

Sorgente: How to Perform a Nasopharyngeal Swab – An Otolaryngology Perspective – The American Journal of Medicine

 

Covid-19: Hospital discharges during pandemic were often chaotic, says watchdog | The BMJ

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Sorgente: Hospitalizations for Chronic Disease and Acute Conditions in the Time of COVID-19 | Cardiology | JAMA Internal Medicine | JAMA Network

 

SARS-CoV-2 Nasopharyngeal Swab Testing—False-Negative Results From a Pervasive Anatomical Misconception | Infectious Diseases | JAMA Otolaryngology–Head & Neck Surgery | JAMA Network

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“Contagiati non vuol dire malati”? La lezione del virus dell’AIDS | Scienza in rete

It’s the virus, stupid!” fu la battuta che pose fine alla disputa accademica e che determinò il fatto che la definizione di “HIV disease” (“malattia da HIV”), già introdotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1990 [3], si affermasse definitivamente a significare, appunto, che l’infezione per se, ancorché asintomatica per molti anni, era da considerarsi già malattia.

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Ai giovani studenti di medicine, e… – Pino Quintaliani

Ai giovani studenti di medicine, e infermieristica, dietisti e di tutte le .professioni sanitarie. Faccio mio questo apppello

Lettera girata ai miei studenti di Medicina…che Dio li protegga.
Molti, i giovani, non mi conoscono mentre i vecchi probabilmente si ricorderanno a malapena visto che è molto che non scrivo su questo gruppo ma piano piano ricominceremo..e quindi ripartiamo…E’ ferragosto, il giorno che gli italiani festeggiano solitamente con feste, canti, balli e cene. Molti di noi però si sono scordati però che siamo in piena emergenza COVID. Il COVID ragazzi non è passato, il COVID è tra noi esattamente come prima ma in maniera più subdola, prima in clusters ben definiti, ora diffuso. C’è stato un lockdown pesante che vi ha costretto a non fare pratica, che vi ha costretto a seguire le lezioni da casa, che vi ha portato a stare lontani dall’aria della corsia, ma vedo che tutti lo hanno dimenticato, tutti hanno dimenticato le lunghe file di camion militari pieni di bare andare via di notte dagli ospedali lombardi, tutti hanno dimenticato gli angeli delle corsie (cioè voi tra qualche anno) morire per trattare persone sole, spesso intubate, colpite da questa malattia. Siete o sarete medici a breve e vi siete mai chiesti che forse ci potreste essere voi nelle corsie a trattare vostri coetanei che hanno ignorato il rischio del contagio “tanto il COVID prende solo qualche sfigato e non è pericoloso”? Non è vero ragazzi che il COVID è poco più di un raffreddore, il COVID lascia il segno, il COVID devasta la vita, vostra e quella degli altri, quella dei vostri familiari, dei vostri nonni, e quando li ha presi, quando vi ha presi, è troppo tardi per recriminare, per dire “ma io non immaginavo”. Vedo che molti che criticano il lockdown stanno facendo di tutto per tornare al lockdown, vedo ragazzi che trascurano le minime norme di igiene perché “devono divertirsi” e questo posso accettarlo a fatica da chi ha un livello culturale basso, non da uno studente in medicina che forse già nei prossimi mesi dovrà andare in reparto a cercare di tamponare i danni fatti dal COVID, rischiando lui o lei in prima linea. Fino ad ora abbiamo avuto focolai più o meno controllabili ma se continua così i focolai diventeranno troppi e non saranno più controllabili….ed il virus si espanderà in maniera geometrica…e non ci saranno alternative ad un nuovo lockdown (che non ci possiamo permettere) o aspettare cosa succede, e voi che ora vi sentite immortali sarete costretti a rischiare la vita coscientemente in reparto per curare i vostri parenti o amici o coetanei contagiati dal coglione di turno che si doveva divertire. Io sono stato uno che nella vita si è divertito tanto, troppo, provando davvero di tutto, ma mai e poi mai ho messo a rischio la vita di qualcun altro, tantomeno quella di un mio parente, e chi fa sciocchezze in questo momento mette a rischio non tanto la propria vita, ma quella di tutti coloro che lo circondano…e questo non può essere accettabile da uno studente di medicina. Abbiamo saputo che alcuni vostri colleghi di università sono risultati positivi dopo essere stati a divertirsi in paesi esteri: divertirsi per poi passare il resto delle vacanze in quarantena con la paura di aver contagiato un parente…ha senso questo? Ha senso poi piangere? Ha senso poi che voi andiate a rischiare in reparto per trattare questi coglioni? E’ possibile divertirsi senza portare la morte in casa?
Siete studenti in medicina, siete studenti che hanno scelto di fare medicina e ci state perdendo la vita per arrivare alla laurea..ha senso tutto questo e poi rischiare la vita per andare a ballare o ad ammmucchiarsi in qualche locale? Ha senso tutto questo per poi beccarsi il virus in reparto da qualche coglione che doveva divertirsi? Solo voi ora potere cercare di convincere questa gente a controllarsi, a riportarli ad una realtà che viene negata da troppi, a partire da qualche politico che vede solo i propri interessi, non quelli del paese o dei suoi cittadini.
Non credete ai cazzari del virus, non siate superficiali, voi avete la consapevolezza di quello che può succedere, voi avete la coscienza di quello che dovrete affrontare una volta dall’altra parte, dalla parte dell’operatore sanitario, voi avete la misura di quello che dovrete fare, a voi ed ai vostri pazienti una volta in reparto. Siate duri, siate inflessibili, siate educativi con chi non ha il cervello o le capacità di comprendere che stiamo entrando in un tunnel in cui voi per primi come frequentatori o futuri medici (oltre ai vostri parenti )sarete messi a rischio da comportamenti errati. A ottobre se tutto va bene dovreste rientrare in reparto, con tutti i rischi connessi, e se non va bene farete medicina per corrispondenza, e non so cosa possa essere peggio. Quindi, testa sulle spalle, cervello acceso, non mettetevi a rischio, almeno voi: avrete tempo per divertirvi se per voi divertirvi significa solo andare alla pesca a strascico in discoteca: ci sono molti modi per divertirsi e ora questo è il più pericoloso. Sapete cosa fare e come comportarvi ma non è sufficiente che solo voi portiate la mascherina in discoteca, lavorate sulla testa degli altri, urlate, andatevene, non rischiate e non fate rischiare. Se solo uno di voi rientrerà all’università contagiato immaginate le conseguenze per tutta la sua classe, per i propri familiari, per l’università e per il policlinico. Siete futuri medici ed avete una immensa responsabilità per la quale giurerete a breve, il giuramento di Ippocrate nel quale sul vostro onore giurerete di non recare danno ad alcuno. Cominciate a rispettarlo fin d’ora, cominciate a pensare seriamente che sarete medici. Nessuno vi chiede di passare le vacanze chiusi in casa, ma mascherine sempre, lavaggi mani sempre, evitate assembramenti, feste del cavolo, discoteche, soprattutto discoteche estere in cui non esistono norme, accettate le prese per in giro dal coglione di turno che vi insulta perché portate la mascherina…anzi, convincetelo che chi sbaglia è lui, ditegli che siete studenti in medicina e che lui potrebbe capitare sotto le vostre mani a breve..usate tutto i mezzi possibili, giocate anche sporco per convincere gli idioti, date il buon esempio e se non funziona andatevene. A settembre, in aula, ci giochiamo molto, la frequenza in aula e reparto, la salute dei vostri coetanei e parenti, il proseguo dei vostri studi. Forse vi siete dimenticati tutto questo..ecco, non fatelo, siete studenti in medicina e futuri medici, quelli che dovranno spalare la merda..non dimenticatelo mai…e buone vacanze. Stefano marini, M.D., Pd.D. docente universitario, medico del lavoro.

 

 

JMIR – Telehealth for Noncritical Patients With Chronic Diseases During the COVID-19 Pandemic | Liu | Journal of Medical Internet Research

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